Durante un “buio” periodo connotato delle invasioni barbariche che rendevano drammatiche le condizioni di vita dei sudditi dell’Impero Romano d’Occidente, si andarono a costituire istituzioni ecclesiastiche e religiose che posero le basi alla nascita della nuova civiltà.
Nel IV secolo, videro la luce i primi movimenti monacali che ebbero rilevanza sotto il profilo sociale, culturale e giuridico.
Nato in Egitto nel III secolo, il monachesimo ebbe una rapida diffusione nell’Europa Occidentale, grazie all’arrivo dei monaci venuti dall’area orientale bizantina, dall’Irlanda e dall’Africa.
Nel 529, a Montecassino, ove sorgeva un antico tempio dedicato al culto di Apollo, il monaco di Santa Scolastica natio di Norcia, Benedetto, fondò il primo cenobio e divenne il capostipite dell’Ordine al quale diede il suo nome e per cui prescrisse la meticolosa “ Sancta Regula” della vita monastica.
Ora et labora” è l’espressione che riassume i momenti di lavoro e preghiera che scandiscono le ore del giorno e della notte dei monaci benedettini.
Tra le mura del cenobio, il lavoro intellettuale affiancava quello manuale: tale tesi è avvalorata dal prestigioso patrimonio culturale pervenutoci, il quale attesta il lavoro svolto dai monaci amanuensi all’interno dello scriptorium, luogo adibito alla diffusione della cultura e alla trasmissione dei saperi in materia di astronomia, scienze naturali, aritmetica, arti liberali, retorica e musica.
Gli amanuensi sono stati, dunque, i remoti custodi delle conoscenze più preziose.
In un’epoca in cui la stampa non aveva ancora visto la luce, i cosiddetti “servus a manu”, con il sussidio della pergamena – perlopiù vellum di origine animale – dell’inchiostro e del calamo impegnavano le ore di luce naturale nella trascrizione con “bella grafia” di opere dell’antica tradizione classica.
L’archeologia insegna che i primi rudimenti di scrittura avvennero su tavolette d’argilla, tavole cerate, pietre e cortecce d’albero e soltanto in un periodo postumo, grazie alla nascita del papiro, della pergamena – originaria della città di Pergamo in Asia Minore – e della carta si iniziarono ad adoperare dei materiali di contrasto mediante l’utilizzo di pennini d’oca, pennini palustri e calamai; la scelta nell’impiego di essi variava a seconda della tipologia di scrittura adoperata.
E’ nel V secolo che si assiste all’evoluzione della tipologia di scriptura: in questo periodo, infatti, comparvero la scrittura Onciale, la Semi-Onciale e la Minuscola Corsiva seguite, nel XI secolo, dall’arte calligrafica Carolina.
Nel XIII secolo, a seguito della comparsa degli scriptoria legati alle Università, si andò denotando un mutamento nella costruzione del codex e la laicizzazione delle miniature.
In questo particolare periodo storico si assiste alla nascita della calligrafia Gotica; essa è rinvenibile nel trattato di Federico II di Svevia “ De arti venerandi cum avibus”, relativo all’arte venatoria del tempo.
Il codice – redatto nel 1260 ca. e conservato nella Biblioteca Vaticana – è composto da 111 fogli di pergamena delle misure di 26 x 36 cm, ed appare come fonte empirica della scrittura adoperata dall’Imperatore del Sacro Romano Impero.
Nei periodi antecedenti alla comparsa della scrittura Gotica, veniva adoperata la tipizzazione Beneventana – scrittura nazionale della Langobardia Minor, originaria del ducato di Benevento e denominata in tal modo dal paleografo Avery Lowe; essa era utilizzata nell’area dalmata nei secoli intercorrenti fra l’VIII ed il XVI ed il suo centro di diffusione fu principalmente il cenobio di Montecassino.
Dall’influsso della scrittura del monastero benedettino (ricca di abbreviazioni e contrazioni) e dalla scrittura minuscola greca nacque la tipizzazione della scrittura “Bari Type”, caratterizzata da un tratteggio sottile favorito dall’utilizzo dei pennini a punta rigida.
Meticoloso era l’operato dei monaci amanuensi e preziose sono le testimonianze capaci di narrare peculiarità della storia che hanno interessato l’area geografica centro-meridionale che ci son state lasciate dal monastero di San Benedetto, fondato a Bari nel 978 dall’abate Girolamo.
Con il termine “Exultet” si designa la pergamena liturgica miniata, il cui nome richiama la formula del rituale romano “Benedictio Cerei”, diffusa durante i secoli intercorrenti tra il X ed il XIV.
Gli Exultet venivano srotolati dal diacono durante il rito, al fine di mostrarne ai fedeli le miniature che riproducevano il contenuto del canto liturgico; al loro interno vi sono versi poetici tratti dagli scritti di Sant’Ambrogio , decantati durante il rito ambrosiano. I trentuno rotoli dell’Exultet esposti nelle teche del museo diocesano della città metropolitana di Bari, sito in via Dottula, sono oggi la testimonianza di un’ evoluzione della notazione adiastematica la quale era dotata di guidone, atto a dare l’intonazione al canto gregoriano.
La presenza di tali opere non esclude l’ipotesi che durante l’epoca medievale, nella città di cui San Nicola, vescovo di Myra, è patrono vi sia stata una schola cantorum d’influenza greca e bizantina.

Antonia Depalma


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