La Puglia dei diavoli e delle streghe

In questo articolo tratto un tema molto sentito in Puglia: Il diavolo e la stregoneria, ovviamente considererò l’argomento dal punto di vista prettamente folkloristico, senza addentrarmi in ambito teologico.
Folklore quindi.
Il termine folklore deriva dall’inglese “folk (popolo)” e “lore, (sapere)”, si riferisce all’insieme della cultura popolare, intesa come “sapere popolare”, conoscenze tramandate oralmente di generazione in generazione, riguardanti usi e costumi, miti e leggende, di una determinata area geografica e popolazione.
L’origine del termine viene attribuita allo scrittore inglese William Thoms che con lo pseudonimo di Ambrose Merton, pubblicò nel 1846 una lettera sulla rivista letteraria londinese “Athenaeum”, allo scopo di dimostrare la necessità di un vocabolo che si riferisse a tutti gli studi sulle antiche tradizioni popolari inglesi.
Il termine fu accettato dalla comunità scientifica internazionale dal 1878, per indicare tutte quelle espressioni culturali comunemente denominate “tradizioni popolari”.
Quindi è chiaro che il folklore pugliese non si limita alla celeberrima “Notte della Taranta”, non si limita ai folletti (lu laurieddru, lu scazzamurrieddru, li scazzuddri e chi più ne ha più ne metta), no, nel folklore rientrano anche tutte le leggende e le conoscenze popolari sulla figura del diavolo (lu Tiaulu, nel dialetto salentino) e sulle streghe (le masciare o le striare).

Chi erano le streghe, e chi era il diavolo per gli antichi abitanti della Puglia?
Partiamo dal Diavolo, cosa o chi è il diavolo cristiano?
In un articolo pubblicato da: il messaggero e firmato da Franca Giansoldati, vengono riportare la parole di Papa Francesco in merito all’esistenza del diavolo.
«Lungi dall’essere un mito, una rappresentazione astratta, un simbolo, una figura o un’idea, è invece qualcosa di reale»
Ovviamente qualcuno potrebbe obiettare che il Papa, in quanto capo spirituale della religione cristiana, ha anche il dovere di parlare in quei termini del Diavolo, e che magari un ateo, o un appartenente a credo differente, potrebbe non concordare affatto con la sua idea.
Ciò è giusto, ma il folklore pugliese sul diavolo ha fortissimi legami con il cristianesimo, quindi per capire bene cosa spinse quegli uomini e quelle donne a creare una figura tanto rispettata quanto temuta, occorre per forza comprendere il pensiero Cristiano in merito.
Infatti, così come ha voluto puntualizzare il Papa, secondo il cristianesimo il diavolo non è quella figura astratta che percepiscono gli uomini, ma un essere reale, potente ed estremamente furbo.
Allo stesso modo lo percepivano gli antichi pugliesi, come una presenza reale, pericolosa, pronta a “dannare” il malcapitato di turno.
In quegli anni, in cui il potere della chiesa era certamente più forte e la fede rappresentava una certezza indiscutibile per i pugliesi; l’arte, la musica, l’architettura, la poesia, la letteratura in generale, tutto sembrava adempiere ad un unico importantissimo scopo: rendere omaggio a Dio e alla sacralità della religione cristiana.
Contemporaneamente veniva denunciata la pericolosità del demonio e dei demoni.

Tra le figure demoniache, o comparate ai demoni, gli uomini riconoscevano anche i folletti, i fantasmi e le streghe, oltre ad una serie di altri esseri folkloristici.
Le streghe furono letteralmente il terrore di molti bambini, per secoli, furono causa di tante notti insonni.
Sono sicuramente figure che hanno lasciato una traccia indelebile nella cultura popolare odierna, e sono purtroppo protagoniste di alcune delle pagine più sanguinose e vergognose della nostra storia; mi riferisco agli anni in cui le “sacre” inquisizioni, ingiuste e meschine, portarono al rogo centinaia e forse migliaia di donne innocenti, di ogni credo ed età.
Secondo le leggende, intrise di cristianità ovviamente, quindi entriamo nel vivo del folklore, le streghe erano, e sarebbero, le amanti di Satana, donne che per poter ottenere gli immensi poteri di cui disponevano, sarebbero state disposte a tutto, perfino a vendere la loro stessa anima al demonio.
Si narra che queste donne fossero dedite all’omicidio di fanciulli, spesso sottratti alle loro madri con l’inganno, per potersi poi cibare delle loro carni ed ottenere così il consenso del diavolo, indispensabile al fine della stipulazione del famoso “patto di sangue”.
I loro poteri sono descritti in centinaia di modi differenti:

  • sarebbero state in grado di controllare le forze della natura;
  • potevano scatenare terribili pestilenze su interi villaggi;
  • potevano mutare il loro aspetto e mostrarsi come fanciulle indifese e persino trasformarsi in animali (gatti, topi, corvi, insetti).

Tuttavia il loro potere più spaventoso, ed anche il più noto, sarebbe stato quello di poter volare cavalcando la loro fedele scopa.
Quest’ultima facoltà veniva loro conferita dal diavolo in persona, a seguito di un macabro rituale: la strega ungeva il bastone della sua scopa con unguenti speciali, erbe magiche, ed un grasso ottenuto dalla lavorazione dei corpi dei bambini brutalmente assassinati.
Chiaramente tali descrizioni venivano propagandate al fine di “terrorizzare” le masse e dominarle.

In Italia i racconti sulle streghe presero il sopravvento soprattutto nel Medioevo e la città di Benevento ha ancora oggi la fama di essere il luogo in cui, queste maghe oscure, si radunavano per dar vita ai loro festini demoniaci.
I loro raduni, i “Sabba”, consistevano non solo in atti sessuali promiscui, ma anche in banchetti lussuosi e danze sfrenate, vere e proprie feste offerte da Satana in persona, che ne prendeva parte in carne ed ossa, e nelle quali le donne e gli uomini (gli stregoni) si lasciavano andare ad ogni sorta di peccato immaginabile.
Ad esempio, pare fosse usanza, durante questi festini, venerare il demonio baciandogli l’ano, e danzare muovendosi al contrario.
Ovviamente l’ideologia cristiana, la demonizzazione degli antichi culti pagani che sopravvivevano nonostante le persecuzioni, è evidentissima in tali racconti.
In questo modo potevano essere accusati di stregoneria tutti coloro che, magari, avessero voluto far rivivere un antico rituale di ringraziamento agli dei della natura, per richiedere alle antiche potenze un raccolto più fruttuoso, o scongiurare un periodo di siccità.

Le streghe pugliesi, erano chiamate “Macare” o “Striare”.
Secondo il folklore, queste avevano il potere di eseguire o sciogliere fatture (maledizioni), quindi potevano essere considerate sia benevole che malvagie in base al loro comportamento, fermo restando che venivano comunque viste con diffidenza e timore, quindi collocate in un’ottica relativamente negativa.
In particolare la gente definiva “macara” la strega impegnata in atti relativamente benevoli, come curare alcuni problemi di salute, purificare alcuni luoghi da influenze negative ecc; chiamavano invece “striare” le streghe ritenute malvagie, che oltretutto sarebbero state capaci di tramutarsi in gatti per muoversi indisturbate nei paesi.
Macara è un termine che deriva dal nome con il quale in Puglia (più precisamente nel Salento) era definita la magia, ossia “macaria“.

Passiamo quindi a narrare alcune leggende pugliesi, utili a chiarire meglio quale fosse il rapporto tra il popolo e le figure folkloristiche oggetto di questo articolo.
Vorrei però ricordare ai lettori che potranno leggere maggiori informazioni, e trovare molte altre leggende, nel mio libro dal titolo: “Il Diavolo e la Stregoneria in Puglia. Leggende – Cronache – Superstizioni” (Artebaria Edizioni).

LA CHIESA DEL DIAVOLO (TRICASE – LE)

Nella periferia di Tricase, vivace comune salentino che si affaccia sul mare, esiste un monumento ricco di leggenda e mistero, una chiesetta la cui storia è densa di elementi affascinanti ed allo stesso tempo terrificanti. Si tratta di una costruzione ottagonale voluta dalla famiglia di Jacopo Francesco Arborio Gattinara, Marchese di San Martino, edificata nel 1684 ed oggi nota con il nome di: Chiesa della Madonna di Costantinopoli.
Ciò che rende particolare l’edificio, oltre alla forma, alla sua posizione periferica, al fatto che sia sconsacrato e che avrebbe ben cinque altari al suo interno, è che viene denominato “Chiesa del Diavolo”.
Di seguito vi riporterò la leggenda ad essa legata.
“Esisteva a Tricase un Principe (non ben definito storicamente) spietato e crudele, a tal punto da avere la macabra abitudine di condannare a morte chiunque lo infastidiva o contrariava, e persino chi gli fosse stato semplicemente antipatico. La sua crudeltà era immensa e sembrava godere
dall’altrui dolore e sofferenza. Egli nella sua lucida follia, era però consapevole di non poter uccidere tutti i suoi sudditi, altrimenti non ci sarebbero stati più uomini da dominare e torturare per appagare il suo ego malvagio. Nella sua crudele astuzia decise di accontentare il popolo, che
rimase sorpreso dall’insolita benevolenza, acconsentendo alle numerose richieste di alcuni coraggiosi contadini che chiedevano con insistenza l’edificazione di una Chiesa nella zona, dove poter pregare e forse implorare la grazia divina contro il malvagio Principe. Fin qui il racconto
sembrerebbe narrare le normali vicissitudini di un popolo dominato da un tiranno, in un’epoca storica difficile e governata dalla violenza e dalle barbarie. Ciò che invece rende affascinante questa leggenda risiede nelle modalità stesse di edificazione della chiesa. Il principe infatti decise di chiedere aiuto al diavolo in persona, con il quale instaurò un vero e proprio patto: il demonio si sarebbe impegnato a costruire in una sola notte la chiesa, sfruttando i suoi poteri e con l’aiuto di ogni sorta di demone e spirito sotto il suo dominio. In cambio di questo servigio, il reggente avrebbe dovuto offrire un’ostia consacrata ad un caprone, che simbolicamente avrebbe rappresentato Satana, in quella stessa chiesa. Mantenendo fede al patto, il diavolo costruì l’edificio in una sola notte e contento dell’alleanza stretta con il tiranno, portò con se un forziere pieno d’oro da offrire al Principe in segno di amicizia.
Questi però, proprio all’ultimo momento, venne meno al patto stipulato e non osò sfidare Dio, scatenando la furia del demonio che si manifestò con urla, fiamme e rumori terrificanti di cui molti contadini furono testimoni. Lucifero si adirò quindi, e fece sparire le statue e gli affreschi che adornavano l’altare principale, poi fece sprofondare in mare le campane della chiesa, attraverso il canale “Rio”, da lui stesso creato a tal scopo e nascose il forziere d’oro scambiandolo con uno pieno di carboni. I contadini, nel momento in cui appresero il nome del reale costruttore della
chiesa, ossia del diavolo in persona, decisero di murarla affinché lo “spirito del male” restasse imprigionato al suo interno”.

Reputo questa leggenda degna di nota, soprattutto perché mette in mostra l’abitudine del “popolino” di spiegare, con l’esistenza del diavolo, e della magia, ogni avvenimento che non riuscivano a spiegare razionalmente, o che esulava dai comuni canoni di “normalità”.
Come in questo caso era avvenuto per la particolare forma architettonica dell’edificio e certamente per la rapidità di costruzione.

Per meglio parlare del diavolo, in senso stretto, riporterò una leggenda nella quale quest’ultimo verrebbe descritto più o meno dettagliatamente.

LO JAZZO DEL DEMONIO (RUVO DI PUGLIA – BA).

Una leggenda molto singolare, avente come protagonista il diavolo, è legata al famoso “Jazzo delDemonio”, nel territorio di Ruvo di Puglia. Lo Jazzo è un recinto, solitamente in pietra, costruito per contenere le pecore, solitamente usato come ricovero temporaneo durante la transumanza del bestiame.
“In una fredda e buia notte d’inverno, due pastori si erano rifugiati nello Jazzo insieme al loro gregge, ed avevano acceso un fuoco per riscaldarsi, quando udirono i cani abbaiare insistentemente. Le bestie ringhiavano, si agitavano come se fossero in stato di allerta, di difesa.
Improvvisamente sentirono bussare tre volte alla porta del rifugio. Appena aprirono si trovarono davanti uno strano viaggiatore, coperto da una specie di saio ed un grande cappuccio, il quale riferì di avere smarrito la via a causa della tempesta e di essere stato attirato lì dal fumo del fuoco. Malgrado lo strano tono di voce, al quanto rauca, e l’accento poco comprensibile, i due pastori lo fecero entrare per offrirgli riparo. L’uomo esitò a togliersi gli abiti bagnati e a mostrare il viso ma ciò non suscitò troppi interrogativi nei pastori, persone semplici e abituati a non fare troppe domande, soprattutto ai forestieri. Quando però lo invitarono a sedersi accanto al fuoco tutto cambiò, la parte bassa dello strano saio si sollevo e lasciò scoperte le gambe, in realtà due zampe caprine che terminavano con uno zoccolo, così come nelle più note rappresentazioni dei satiri o dello stesso diavolo. Il demonio! Urlarono terrorizzati i poveri pastori, che si segnarono con il segno della Croce e corsero a rifugiarsi
sotto un crocifisso, unico decoro di quel povero rifugio. Immediatamente il demone svanì, lasciandosi dietro un forte odore di zolfo. Da allora quel posto sarebbe divenuto noto come Jazzo del demonio, o del diavolo”.

Esistono diverse versioni di questo racconto, e in effetti non è ben chiaro il motivo della visita del diavolo ai poveri pastori, secondo alcune ipotesi, restando in ambito folkloristico ovviamente, sarebbe apparso per offrirne tesori in cambio di devozione.

Quindi abbiamo visto che il Diavolo è spesso rappresentato, nel folklore Pugliese ma non solo, come una specie di essere ibrido, a metà tra un uomo e una capra.
Per cercare di capire il motivo di questa strana ma ormai ben nota rappresentazione, alla base anche del famoso Baphomet di Eliphas Lévi, il noto esoterista francese, occorre pescare nella mitologia greca, ed in particolare rispolverare la figura del dio Pan, una divinità che viveva al di fuori della cerchia degli dei olimpici, se così possiamo dire, ed era per metà uomo e per metà capra.
Era rappresentato, oltretutto, con una folta barba e con lunghe corna sulla testa.
Questo dio, potentissimo, sarebbe stato figlio del dio Ermes e della Ninfa Driope.
Secondo la mitologia, durante un’epica battaglia, gli dei olimpici furono quasi sconfitti da Tifone e si nascosero tutti in Egitto assumendo sembianze animali. Pan, che era per metà già animale, trasformò solo la sua parte inferiore in pesce e si rifugiò in un fiume in attesa di una svolta nella disputa in atto.
Quando Zeus stava per essere sconfitto, Pan, in preda alla rabbia, lanciò un terrificante urlo, tanto potente da spiazzare il nemico e permettere così la vittoria di Zeus. Il padre degli dei lo ringraziò ponendo nel cielo la costellazione del capricorno.

Secondo alcuni studiosi Pan era paragonato a Phanes o Fanes, dal greco antico “Phanês” che significa “luce”, il primo vero Re dell’universo che cedette il suo potere agli altrui dei, solo perché era stanco di governare e non per resa o sconfitta.
Una divinità il cui nome potrebbe significare luce è facilmente collegabile proprio a Lucifero, il cui nome significa “portatore di luce”.
Dunque Pan potrebbe essere in realtà una divinità arcaica, molto potente, padre degli istinti primordiali umani, quindi ira, sesso ecc, il cui culto era molto sentito dall’antica religione pagana.
Un motivo più che valido per essere demonizzato dalla religione nascente, perché si prestava benissimo alla rappresentazione del Diavolo, una figura che doveva comunque suscitare paura ed essere collegata agli istinti “peccaminosi”

LE STREGHE DI UGGIANO – LE

Il più famoso dei luoghi di ritrovo delle streghe è, senza alcun dubbio, il magico noce di Benevento: albero sacro situato in un luogo segreto tra i boschi della specifica provincia.
Ciò che non molti sanno è che anche in Puglia vi era, o vi è, un luogo sacro ove le streghe di tutta la regione si riunivano, e forse si riuniscono, per festeggiare i loro “sabba”.
Questo luogo si troverebbe nel territorio di Uggiano, comune della provincia di Lecce, e sarebbe, ancora una volta, un “noce sacro” noto come “noce del mulino a vento”.
“Le streghe, ma anche gli stregoni, si riunivano per banchettare e festeggiare al cospetto del diavolo, che servivano e veneravano durante tutta la cerimonia. Delle “striare” faceva parte anche una locandiera del posto che durante i giorni predisposti al Sabba (durante gli equinozi o i solstizi) lasciava il marito da solo nel locale pieno di gente e, con le altre streghe, raggiungeva il luogo dell’incontro.
Il marito sapeva benissimo dell’altro aspetto della moglie, e lo aveva accettato di buon grado, ma durante una di queste cerimonie si ritrovò circondato di clienti e senza scorte di vino.
Decise quindi di recarsi presso l’albero magico, forse per chiedere in prestito un po’ di vino, ma giunto sul posto sbagliò la formula magica d’ingresso e invece di dire: “sutta l’acqua e sutta lu jentu; sutta lu noce de lu mulinu a jentu” (ossia: sotto la pioggia, sotto il vento, sotto il noce del mulino a vento), disse: “susu all’acqua e susu allu jenti; susu lu noce de lu mulinu a jentu” (sopra la pioggia, sopra il vento, sopra la noce del mulino a vento).
Immediatamente le forze demoniache a guardia del luogo intervennero, lo capovolsero a testa in giù e lo sospesero in aria. Lo avrebbero certamente portato alla morte senza il tempestivo e provvidenziale intervento della moglie. La donna, vedendolo in grave difficoltà, recitò una formula magica, che liberò l’uomo da quella pericolosa situazione in cui si era incautamente cacciato. Da allora, per evitare altri incidenti che avrebbero anche potuto smascherare l’identità delle varie streghe e degli stregoni, quell’albero venne reso luogo proibito e fu celato alla vista tramite potenti incantesimi.
Secondo la leggenda, a volte, durante le tiepide notti estive, dalle campagne dell’agro di Uggiano giungerebbero suoni di festa, voci di fanciulle e rumori di posate, ma mai nessuno sarebbe riuscito ad individuarne la provenienza”.

È chiaro che qui si tratta di un folklore prestato, se così vogliamo dire.
È vero che Benevento ha il primato per ciò che riguarda la stregoneria ed anche la leggenda del Noce sacro, ma in tutta Italia esistono leggende affini. Oltretutto in estate molti uomini festeggiavano nelle masserie ed il vento poteva trasportare i suoni, ed anche i profumi, da molto lontano, dando origine o forza alla leggenda del noce invisibile e dei sabba delle streghe.
Nella leggenda sopra riportata è possibile identificare un tipo di strega accostata al diavolo, e in qualche modo all’idea del male, in pratica la classica strega perseguita dall’inquisizione.

MASSAFRA CITTÀ DELLE STREGHE

Massafra, in provincia di Taranto, è uno dei paesi pugliesi più misteriosi che io abbia visitato, un luogo che conserva un fortissimo legame con la tradizione folkloristica tipica della cultura del sud Italia.
Nei secoli scorsi questa cittadina è stata molto famosa per via delle sue “macare”. Queste streghe erano note soprattutto per la loro abilità di praticare “Fascinazioni”, magie di legamento e filtri d’amore, un tempo molto richieste non solo dagli abitanti del luogo, ma anche da molti uomini e soprattutto donne di altre cittadine pugliesi, in cerca di marito.
Ancora oggi molti luoghi in città richiamano quegli anni di mistero e magia:

  • la grotta della “maciaredda”;
  • il “corno della strega” e tanti altri.

Una leggenda molto nota nella terra di Massafra è legata al personaggio di “Mago Greguro” (a differenza delle Macare donne, considerate streghe buone in contrapposizione alle Striare. Gli uomini erano considerati maghi se buoni o stregoni se cattivi).
Il mago Greguro, che pare essere stato un alchimista, e sua figlia, sono i protagonisti principali di questa storia, che tra l’altro pare essere legata a fatti realmente accaduti.
Infatti esiste ancora, nel complesso della gravina della Madonna della Scala, nella quale si dice che il mago vivesse, un insieme di grotte chiamato “farmacia del mago Greguro”.
“Nell’anno 1000, Greguro e Margherita, sua figlia, si dedicavano allo studio e all’utilizzo di numerose piante officinali, dalle quali ricavavano diversi unguenti curativi, attività che aveva
portato la gente di Massafra a pensare che praticassero la stregoneria.
Le piante crescevano spontanee nella gravina e Margherita aveva il compito di scendere dalla grotta e raccoglierle.
La giovane svolgeva il proprio dovere durante la notte, per evitare i pregiudizi degli abitanti, convinti che i due fossero pericolosi stregoni, ciò però non faceva altro che alimentare i sospetti.
La fanciulla era una gran bella ragazza e faceva gola agli uomini del paese, che numerosi la corteggiavano, scatenando l’ira e le gelosie delle altre donne. Proprio queste ultime finirono con l’additare Margherita come strega, accusandola di aver sedotto i loro uomini con filtri e sortilegi.
In fretta e furia la donna venne processata e condannata a morte tramite il rogo. Fortunatamente, poco prima che il fuoco venisse appiccato, in aiuto della giovane accorse, l’Igumeno Anselmo, superiore del monastero bizantino di Massafra, che testimoniò in favore della fanciulla, spiegando
che il suo lavoro non aveva nulla a che fare con satana.
La ragazza fu liberata e Greguro, in segno di riconoscenza fece dipingere una magnifica Madonna sulla roccia della gravina, che secondo un’altra leggenda sarebbe conservata nel Santuario della Madonna della Scala.”

In quest’ultima leggenda possiamo notare l’accostamento tra l’arte dell’erboristeria, anche se certamente rudimentale, e la stregoneria.
Nel complesso spero di essere riuscito ad incuriosirvi, a farvi riflettere, magari anche a farvi sorridere un po’.
In fondo il folklore e questo, è mistero, è magia, e per quanto sia giusto ed indispensabile razionalizzare le leggende, è altrettanto indispensabile immergersi, ogni tanto, in quel mondo fantastico che è presente in ognuno di noi.

Mario Contino
(Articolo scritto per la rivista “Mistero Magazine” – Copyright, vietata ogni riproduzione non autorizzata).


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